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Niente più bavagli!

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giovedì 12 febbraio 2009

LA MALAGIUSTIZIA SI ACCANISCE SU PALAGIANO.



TARANTO - «La mia vita è stata valutata 20.000 euro».
Arrestata, condotta in carcere, denigrata, offesa e guardata con sospetto.
L’atroce sospetto: quella donna è pedofila. Ma era tutto falso.
Falso, come le dichiarazioni di alcuni zii, che la accusavano solo per sfogare vecchi rancori.
Falso, come il moralismo della gente, che giudica senza sapere.
Assurdo, come lo Stato ripaghi un errore che ti rovina l’esistenza.
Un errore che diventa una pistola puntata alla tempia. Un incubo che ti toglie il fiato.
E, ogni giorno, cerchi di lavare la vergogna per un orrore che non hai commesso.
Anastasia Montanariello, 39 anni, di Palagiano, è una delle vittime della malagiustizia.
Il suo calvario è durato sette anni.
Fu arrestata il 25 maggio del 2000, nell’ambito del blitz denominato “Giglio”, con accuse terribili: atti sessuali con minori e corruzione di minori.
Prima il carcere, la foto sui giornali, l’umiliazione, una famiglia che fa scudo ma teme lo sguardo da santa inquisizione di un paese sbigottito.
Poi gli arresti domiciliari, la libertà per l’assenza di esigenze cautelari, il processo, i testimoni, l’assoluzione piena.
La sentenza è passa in giudicato ed è arrivata la causa per l’ingiusta detenzione.
Lo Stato ha monetizzato anche la sofferenza: 20.000 euro.
Tanto vale la privazione della libertà personale.
Ma, a distanza di due anni, Anastasia Montanariello - assistita nel procedimento giudiziario dall’ avv. Rosario Orlando - non ha ancora incassato nemmeno un centesimo. «Prima ti distruggono, poi ti danno l’obolo - dichiara alla “Gazzetta”. -
"E io non riesco ad avere neanche quello. E’ saltata fuori una sorta di imposta che non è stata pagata, nel senso che il 50% spetterebbe alla cancelleria, e il restante 50%, non è uno scherzo, nessuno sa veramente a carico di chi sia, così il risarcimento è ancora bloccato. Ho solo una strada, pagare io la tassa: 400 euro».
Chi l’ha accusata?
«Fu solo la falsa testimonianza dei miei zii a dare inizio all'incubo, spinti da un rancore familiare che ha radici profonde».
Era stata riconosciuta anche da uno dei bambini che avrebbero subito le violenze?
«I bambini hanno visionato decine di foto. Era logico che potessero sbagliare. Le riporto uno stralcio della sentenza: “esiste il ragionevole dubbio che alle feste a luci rosse partecipasse una ragazza somigliante all'imputata, e tale dubbio non è stato rimosso a causa della mancanza di riscontri esterni».
Riesce a non pensare a quello che le è accaduto?
«Quando si parla di errori giudiziari o di episodi di violenza ai danni di bambini la ferita si riapre, inevitabilmente. Riaffiorano i ricordi di quei mesi nell'inferno degli arresti, le discriminazioni sul lavoro. Ci sono voluti cinque anni perchè la verità venisse fuori, una verità parziale però, perchè nonostante si sappiano i nomi delle persone che mi hanno coinvolta in questa mostruosità, non so ancora oggi se arriverà il processo anche per loro».

Fonte: Giacomo Rizzo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi dovrebbe pagare per questo e altro, gira ancora liberamente per le vie del nostro paese. Non dmentichiamo altre vicende di altri personaggi coinvolti in questa storia, penso alla Manna, penso ai Todaro, a tanti altri ancora coinvolti in altre vicende, che ancora stanno pagando ingiustamente il dazio dovuto all'ingiustizia coem al povero Vincenzo morto suicida. Che schifo.............

Anonimo ha detto...

Stando al Codice di Procedura Penale, occorreva che gli autori di sentenze come queste, che potrebbero passare alla storia forense come i più gravi errori giudiziari commessi in Italia, si "astenessero dal giudizio per gravi ragioni di convenienza".
Invece cosa accade?
Nel 2006 si riapre il caso Sabai e a chi viene affidato il compito di verificare "l'errore giudiziario"?
Agli stessi pm che avevano chiesto il carcere per sei persone che si proclamano innocenti.
I magistrati, in sostanza, si dovranno adoperare per scoprire se hanno mandato degli incolpevoli in carcere.
Questa è la situazione del caso Donvito, TInelli e non solo.