"E ora, riforme condivise”.
Appena chiuse le urne delle regionali, la parola d'ordine ha ripreso a riecheggiare come un mantra dal Quirinale a Palazzo Grazioli, dal Carroccio al carretto del Pd.
Chi ha perso invoca riforme condivise.
Chi ha vinto invoca riforme condivise.
Chi ha pareggiato invoca riforme condivise.
Un po' come nel vecchio spot della domenica: “Se la tua squadra ha vinto, festeggia con Stock 84. Se la tua squadra ha perso, consòlati con Stock 84”.
Le riforme condivise sono una gag sempreverde, meglio del Sarchiapone.
Ma lasciano inevasi alcuni dettagli: riforme condivise quali? da chi? per fare che?
A questo proposito, per un supplemento di chiarezza, si sente farfugliare di “bozza Violante”. Poi per fortuna parla Berlusconi: intercettazioni, legittimo impedimento, impunità per le alte cariche e/o per tutti.
A questo proposito, per un supplemento di chiarezza, si sente farfugliare di “bozza Violante”. Poi per fortuna parla Berlusconi: intercettazioni, legittimo impedimento, impunità per le alte cariche e/o per tutti.
Riforme condivise, soprattutto da lui.
Per il resto le più gettonate sono tre: premierato o presidenzialismo per rafforzare i poteri del capo del governo; federalismo fiscale; superamento del bicameralismo perfetto per sveltire l'iter delle leggi.
Il mantra, per non perdere i suoi effetti magici, non prevede discussioni sul merito, anzi le esclude a priori: vietato domandarsi se davvero l'Italia soffra di un premier impotente, di regioni poco autonome e di leggi troppo rare e lente. Anche perchè, se qualcuno se lo domandasse, scoprirebbe che occorre esattamente l'opposto: levare qualche potere a un premier già abbastanza onnipotente (gli manca soltanto lo jus primae noctis, e talora nemmeno quello); riprendere il controllo delle regioni che spendono e spandono accumulando voragini di bilancio; limitare la bulimia legislativa che giustamente Calderoli ha evidenziato con il maccheronico falò delle norme inutili.
In altre parole: il premier ha troppi poteri, dunque bisognerebbe rafforzare quelli degli organi di controllo, in primis il Parlamento, ormai ridotto a obliteratrice delle fiducie e dei decreti del governo; le regioni sono troppo autonome e andrebbero riportate all'ordine con appositi commissari, possibilmente teutonici; le leggi sono troppe e, vista la loro qualità media, andrebbero frenate istituendo una terza e una quarta camera, altro che abolire il Senato.
In altre parole: il premier ha troppi poteri, dunque bisognerebbe rafforzare quelli degli organi di controllo, in primis il Parlamento, ormai ridotto a obliteratrice delle fiducie e dei decreti del governo; le regioni sono troppo autonome e andrebbero riportate all'ordine con appositi commissari, possibilmente teutonici; le leggi sono troppe e, vista la loro qualità media, andrebbero frenate istituendo una terza e una quarta camera, altro che abolire il Senato.
Alzi la mano chi ricorda una riforma utile ai cittadini approvata negli ultimi 16 anni e chi non riuscirebbe a farne a meno.
Quanto alla presunta lentezza dell'iter legislativo, il lodo Alfano fu licenziato dal Consiglio dei ministri il 27 giugno 2008, approvato dalla Camera il 9 luglio, dal Senato il 22 luglio e firmato dal capo dello Stato il 23.
Tutto in 25 giorni: troppi o troppo pochi?
E ora, dicono, arriva la mitica “riforma della Giustizia”, condivisa ma anche no.
Dal 1994 a oggi la Giustizia è stata riformata fra le 180 e le 200 volte. Con i risultati ben noti.
Se provassero a non riformarla più, magari cancellando qualcuna delle 180-200 porcate, potrebbe persino riprendere un po' di vita.
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